Dal giugno del ’93: Messina Denaro latitante da 29 anni. La lettera alla fidanzata dell’epoca prima della fuga. Il brindisi con gli amici il giorno della strage di Capaci. E altro.
E’ il compleanno di Matteo Messina Denaro. Non dell’età, ma della latitanza, dal giugno del 1993. Sono 29 anni. Di lui non vi sono foto segnaletiche né impronte digitali. Se le forze dell’ordine lo incontrassero sarebbe riconosciuto solo tramite l’esame del Dna. E’ conosciuto anche come “U siccu”, o Diabolik, come il suo fumetto preferito. E come Diabolik anche lui avrebbe voluto montati due mitra sul frontale della sua Alfa Romeo 164. Lui scappa da quando a suo carico un giudice palermitano ha spiccato l’ordine di arresto numero 267 del 2 giugno del ‘93, per 4 omicidi. Tre giorni dopo ha scritto una lettera alla sua fidanzata dell’epoca, per annunciarle la sua fuga: “Non so se hai capito che nell’operazione di ieri da parte dei Carabinieri c’è anche un mandato di cattura nei miei confronti… Qualunque cosa abbiano messo è soltanto una grande infamia, perché sono innocente… E’ iniziato il mio calvario, e a 31 anni, e con la coscienza pulita, non è giusto né moralmente né umanamente… Spero tanto che Dio mi aiuti… Non voglio neanche pensare di coinvolgerti in questo labirinto da cui non so come uscirò… Vuol dire che il nostro destino era questo. Spero tanto, veramente di cuore, che almeno tu nella vita possa avere fortuna, la meriti, sei una brava ragazza. Non pensare più a me, non ne vale la pena… Con il cuore a pezzi. Un abbraccio, Matteo”. Da latitante è riuscito ad avere due figli: una ragazza di cui si conosce anche la madre, e un maschio, Francesco, come il nonno paterno don Ciccio Messina Denaro. Dell’esistenza di Francesco, nato tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, le uniche certezze emergono nelle intercettazioni dei familiari del boss, che ne parlano più di una volta: il padre, Matteo, si sarebbe pure arrabbiato e avrebbe preteso la prova del Dna. Totò Riina, nei dialoghi registrati in carcere con il compagno dell’ora d’aria, ha accusato Messina Denaro, il suo “figlioccio”, di avere abbandonato la causa di Cosa Nostra per occuparsi dei propri affari. Le parole di Riina: “Non ha fatto niente… io penso che se n’è andato all’estero”. Giuseppe Tilotta, sospettato di mafiosità, nell’agosto del 2015 si sfoga così: “Ma anche questo, che minchia fa? Cioè, arrestano i tuoi fratelli, le tue sorelle, i tuoi cognati e tu non ti muovi? Ma fai bordello! Io sono del parere che questo qualche giorno, a meno che non lo abbia già fatto, si ritira… e gli altri vanno a fare cose a nome suo quando lui oramai non c’è più qua…”. Matteo Messina Denaro si vanta che da solo ha riempito un intero cimitero per i suoi morti ammazzati, comprese le stragi mafiose del 1993 di Roma, Milano e Firenze. E ancora oggi sarebbe onorato e rispettato come un “Dio” da tutta la consorteria. Nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Golem”, un indagato intercettato conversa al telefono e rivela: “Sono pronto a lasciare moglie e figli pur di onorare e aiutare il boss latitante”. La sua Castelvetrano è stata assediata a ferro e fuoco. Negli ultimi 10 anni sono stati arrestati oltre 200 tra familiari, parenti di primo e secondo grado, fiancheggiatori e amici del boss. Di lui nessuna traccia, nonostante le dichiarazioni del defunto cugino, Lorenzo Cimarosa, e dei suoi ex fedelissimi poi collaboratori di giustizia, come Andrea Mangiaracina o Vincenzo Sinacori. Ecco un particolare tra i tanti raccontati: a Castelvetrano Matteo Messina Denaro e gli amici suoi festeggiano la morte di Giovanni Falcone in un bar il 23 maggio del ’92. Gli amici suoi brindano e poi spaccano il bicchiere a terra, come secondo usanza. Lui no. Matteo si rivolge al proprietario del bar: “Posso rompere il bicchiere?”. E il barista risponde sì. E lui lo spacca, quasi a volere insegnare l’educazione agli altri. Poi, conclusa la festa, Matteo si rivolge ancora al barista: “Ecco 400mila lire. Sono per il disturbo”. E poi, centinaia di trapiantati di rene non ne sono a conoscenza ma le loro cartelle sanitarie sono state rivoltate alla ricerca di Messina Denaro che, forse, si sarebbe sottoposto al trapianto sotto falso nome o all’estero. Dal 2017 una parte del sistema informatico del Centro nazionale trapianti è stato controllato da un reparto dei servizi di sicurezza. Anche a caccia delle ricette dei costosissimi farmaci antirigetto necessari nei casi di trapianto.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)