Arresto in carcere per Giovanni Luppino e le motivazioni. Perquisizioni a tappeto, anche nelle proprietà di un avvocato radiato dall’Ordine. Dopo il “Padrino”, nel primo covo anche il ritratto di “Joker”.
Dopo la locandina del film “Il Padrino” con la foto di Vito Corleone (Marlon Brando), nel primo covo di Matteo Messina Denaro, in vicolo San Vito 4 a Campobello di Mazara, è stato trovato anche un quadro a colori che ritrae il “Joker” interpretato da Joaquin Phoenix, che vinse l’Oscar, e sotto una scritta: “C’è sempre una via d’uscita ma se non la trovi sfonda tutto”. E Messina Denaro è stato sottoposto al primo ciclo di chemioterapia nella stanza clinica appositamente allestita a pochi metri dalla sua cella nel carcere de L’Aquila. Non vi sono state reazioni collaterali. Nel frattempo si susseguono a tappeto le perquisizioni a Campobello di Mazara e non solo. In particolare, è stata sottoposta a controllo l’abitazione dell’ex avvocato Antonio Messina, 74 anni, radiato dall’Ordine e condannato per traffico di droga negli anni ’90. La casa di Messina è a Campobello di Mazara, in via Selinunte, innanzi alla casa di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss, già perquisita lunedì scorso.
E poi altre ispezioni nell’abitazione estiva dell’ex avvocato a Torretta Granitola, sul litorale di Mazara del Vallo, e in un altro immobile in via Galileo Galilei a Campobello di Mazara. Ancora nel frattempo, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, Fabio Pilato, dopo avere convalidato l’arresto, ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Giovanni Luppino, 59 anni, il commerciante di olive, la “Nocellara del Belice”, di Campobello di Licata, che lunedì 16 gennaio ha accompagnato in automobile, una Fiat Bravo, Matteo Messina Denaro alla clinica palermitana “La Maddalena”. Tra le motivazioni del provvedimento, il giudice Pilato ha scritto: “Ricorre il pericolo di fuga in quanto l’essere a stretto contatto con un soggetto in grado di mantenere lo stato di latitanza per ben 30 anni postula la conoscenza anche della rete creata per sfuggire alla giustizia, di cui Luppino stesso potrebbe avvalersi per darsi alla macchia.
Ricorre la necessità della speciale prevenzione perché l’elevata gravità dei reati, le modalità e le circostanze del fatto, unitamente ai precedenti penali risultanti dal certificato, esprimono una spiccata pericolosità sociale, soprattutto perché l’essere considerata persona di fiducia da un capo mafia del calibro di Messina Denaro proietta automaticamente l’indagato in una posizione di alta considerazione e ‘rispettabilità’ secondo i codici interni all’associazione mafiosa. Trattandosi di un soggetto a stretto contatto con il noto latitante può senz’altro presumersi che egli sia custode di segreti e prove che farebbe certamente sparire se lasciato libero. Ma al di là di ogni considerazione logica, sono le risultanze investigative a fornire il dato decisivo, nella misura in cui il possesso da parte di Luppino di un coltello a serramanico della lunghezza di 18,5 centimetri, e di due cellulari, entrambi tenuti spenti ed in modalità aereo, suggeriscono che Luppino fosse talmente consapevole dell’identità di Messina Denaro da camminare armato e ricorrere ad un contegno di massima sicurezza per evitare possibili tracciamenti telefonici. Al momento dell’arresto Giovanni Luppino aveva in tasca anche dei ‘pizzini’, una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefono, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo. Nessun’altra misura all’infuori del carcere è dunque idonea a contenere le esigenze cautelari, ivi compresa la meno afflittiva degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico che lascerebbe comunque a Luppino uno spazio eccessivo di movimento”. E poi il giudice Pilato, in riferimento a quanto dichiarato a difesa da Luppino, scrive: “Luppino ha dichiarato di ignorare la vera identità di Messina Denaro specificando che, circa sei mesi addietro, il suo idraulico di fiducia, Andrea Bonafede, glielo aveva presentato indicandolo come un suo cognato, di nome Francesco. Dopo quel brevissimo incontro, durato appena una manciata di minuti, non lo aveva più visto né incrociato, fino alla mattina del 16 gennaio quando il tale Francesco, sedicente cognato di Andrea Bonafede, si era presentato all’alba (ore 5:45 del mattino) per chiedergli la cortesia di accompagnarlo a Palermo, dovendo sottoporsi a delle cure mediche in quanto malato di cancro. Luppino ha concluso le sue dichiarazioni sostenendo di essersi reso conto della vera identità di Messina Denaro soltanto a seguito dell’intervento dei Carabinieri, quando aveva chiesto al tale Francesco se cercassero lui, ottenendo in risposta le testuali parole: “Sì, è finita”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)