Dal carcere de L’Aquila trapelano le riflessioni e le raccomandazioni di Matteo Messina Denaro con poliziotti penitenziari e medici. Un pentito al boss: “Parla. Guarisci dal cancro della mafia”.
Matteo Messina Denaro è stato già sottoposto la scorsa settimana alla prima seduta di chemioterapia in carcere contro il tumore al colon con metastasi al fegato che lo affligge dal 2020. Nessuna reazione collaterale, solo alcuni postumi gastrointestinali. Nel frattempo lui, con toni pacati e cordiali, gli stessi per i quali lo ricordano nella clinica “La Maddalena” al tempo del paziente “Andrea Bonafede”, così si sarebbe rivolto ai medici: “Non ho ricevuto una educazione culturale ma ho letto centinaia di libri, sono quindi informato sulle cure, vi prego di poter essere trattato con farmaci e terapie migliori”. I medici responsabili del trattamento antitumorale lo avrebbero rassicurato come non avrebbero potuto altrimenti: “Si seguono procedure all’avanguardia come da protocolli internazionali”. E altre fonti raccontano: “Messina Denaro sostiene di conoscere le caratteristiche dei farmaci che gli vengono somministrati. Compresi gli effetti collaterali. E ha chiesto ai dottori se è possibile accedere a cure farmaceutiche che ci sono solo in Israele. Come se avesse cercato notizie su internet”. Nel frattempo Gianmarco Cifaldi, il garante dei detenuti della Regione Abruzzo, è intervenuto così: “Non ho ricevuto nessuna segnalazione di richieste di cure speciali né lamentele sul trattamento sanitario da parte di Matteo Messina Denaro”. E poi, ai poliziotti penitenziari che lo sorvegliano, Messina Denaro si sarebbe rivolto così: “Non creo problemi, ditemi cosa devo fare”. E poi, puntando il dito verso la televisione ha aggiunto: “Non sono la persona che viene descritta. Non ho mai ucciso donne o bambini”. Ciò che si legge sulle pagine delle cronache giudiziarie smentisce il boss: è stato condannato con sentenza definitiva per avere partecipato al rapimento e all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido.
E poi per avere occultato il cadavere di Antonella Bonomo, 23 anni, di Alcamo, morta incinta di 3 mesi strangolata perchè fidanzata di un boss di Alcamo ucciso anche lui perchè si oppose alla strategia stragista di Riina. E poi anche per le stragi del ’93, che lui avrebbe ispirato, come a Firenze, in via dei Georgofili, dove morirono il vigile urbano Fabrizio Nencioni, sua moglie Angela e le loro due figlie di 8 anni e 50 giorni”. E dopo Alessia Randazzo, la responsabile legale della clinica “La Maddalena” a Palermo, anche un ex killer e fiancheggiatore di Messina Denaro, Pasquale Di Filippo, rivolge un appello al boss affinchè collabori con i magistrati. Lui, Di Filippo, è stato componente del gruppo di fuoco di Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. E poi è stato decisivo nella cattura dello stesso Bagarella. Adesso così si rivolge a Messina Denaro: “Ora che anche io come lui sono malato vorrei dirgli che c’è un tumore dal quale può ancora guarire: la mafia. Matteo se davvero vuoi bene a tua figlia parla con i magistrati. Fai i nomi dei politici. Svela i segreti di Cosa Nostra che ancora non conosciamo”. Poi Di Filippo racconta della latitanza di Messina Denaro, che lui ha protetto tra il ’94 e il ’95: “Matteo faceva la bella vita. A Palermo in uno degli appartamenti del centro che utilizzavamo per le riunioni trovammo un preservativo. E Bagarella chiese se ero stato io a portare una donna nel covo. Poi abbiamo capito che era stato Matteo. Ma nessuno si permise di dirgli nulla”. Ed ancora a proposito di donne: nel covo dell’ex superlatitante, in vicolo San Vito 4 a Campobello di Mazara, oltre alla pistola con matricola abrasa revolver “Smith & Wesson” calibro 38 special, è saltata fuori anche una parrucca da donna: serviva al latitante per camuffarsi o apparteneva a qualcuna delle donne che frequentavano la sua casa?
Angelo Ruoppolo (Teleacras)