Morto il dissidente anti-Putin Alexei Navalny come un novello Socrate, in un Russia sfregiata dalla tirannia descritta da Platone

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Mi tocca scomodare i filosofi per rendere bene l’idea di quello che accade ancora, oggi, ai giorni nostri, e non al tempo di Socrate o Platone, nel 400 a.C.

La morte di Alexei Navalny, non è stata vana e a dirlo, forte e chiaro è stato lui, con un messaggio lasciato al popolo russo, se fosse arrivato il giorno della sua morte, il giorno in cui sarebbe stato ucciso.

Oggi è quel giorno. Oggi, 16 febbraio A.D. 2024 Alexei è morto e allora quel suo messaggio rimbomba più forte che mai:

“Se decidono di uccidermi, vuol dire che siamo fortissimi. Dobbiamo usare questa forza, non dobbiamo arrenderci, ma ricordarci che siamo oppressi da persone cattive. Il male per trionfare, ha bisogno che i buoni non facciano nulla. Quindi, non siate inerti”. 

Alexei Navalny dissidente e leader dell’opposizione russa, è morto. È morto in carcere, è morto nella colonia penale artica di Kharp, a 2 mila chilometri da Mosca, nella regione Yamalo-Nenets, tra ghiaccio paludi e miniere, il luogo perfetto per scomparire; lì dove stava scontando la sua condanna in massimo isolamento, in condizioni carcerarie ripetutamente oltre i limiti della tortura. E la trombosi che lo ha ucciso è proprio la conseguenza di quelle ripetute torture. 

Così Putin si libera dai dissidenti, così si uccidono gli oppositori. 

In Russia vi è una vera e propria tirannide e, come diceva Platone, questa è la più spregevole tra le degenerazioni di governo. Lì dove il tiranno si circonda di persone spregevoli e agisce non più per il bene comune ma per il suo preciso ego, schiavo di sé stesso e del potere; schiavo di passioni e ricchezze.
Navalny e il suo gruppo di lavoro avevano raccontato e svelato con inchieste giornalistiche, le immense ricchezze accumulate dagli uomini del Cremlino che predicavano frugalità e vita morigerata al popolo, mentre loro accumulavano ricchezze spregiudicate, ville e yacht nei luoghi più prestigiosi del mondo.

Putin da buon tiranno, non gli ha mai perdonato quell’accurato ruolo di comunicatore, capace di arrivare alle masse e soprattutto ai giovani, uditorio a lui negato.

Era stato avvelenato dagli agenti dei servizi segreti russi, si è trovato tra la vita e la morte e non presentandosi in questura in una delle date prestabilite, era stato accusato di “violazione delle regole”; e poi ancora colpevole di truffa aggravata, condannato a 9 anni di reclusione; e ancora nello scorso maggio, accusato di aver creato una “comunità estremista”.

Lui, Alexei, lo sapeva che sarebbe potuto non uscire più da quella cella tre metri per tre, isolato, lontanto da tutti, impossibilitato a comunicare con l’esterno; eppure da solo ha deciso di tornare con tutti i sensi, in Russia. Avrebbe potuto restare in Germania, dove sarebbe stato osannato come colui la cui voce tuonava contro il potere russo. Ma coraggiosamente aveva deciso di tornare, pur sapendo che quella scelta lo avrebbe condannato a morte.

E così come un novello Socrate, ha affrontato il suo destino per lasciare un segno indelebile, che potesse essere riconoscibile, perché l’ingiustizia subita va mostrata, affinché possa essere combattuta e contrastata.
La scelta. Quella che contrappone i pavidi dai coraggiosi, i codardi dai saggi, i mediocri dagli accelsi.
La scelta di lasciare un segno, affinché il proprio compito sociale non cadesse nel nulla.
Alexei Navalny muore con coerenza, fedele a sé stesso e ai proprio princìpi, sfidando le leggi dei tiranni, senza mai smentire il proprio operato.

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