Il saccense Antonello Nicosia, condannato con sentenza definitiva, si è laureato in carcere ma non discuterà la tesi a Roma. I dettagli sul perché.
Il 25 gennaio del 2024 la Cassazione ha reso definitiva la sentenza di condanna a 13 anni e 6 mesi di reclusione a carico di Antonello Nicosia, 53 anni, di Sciacca. Lui, già componente del comitato nazionale dei Radicali italiani, fu arrestato all’alba del 4 novembre 2019, nell’ambito dell’inchiesta battezzata “Passe partout”, ovvero “passa dappertutto”, in riferimento all’accesso in tutte le carceri a beneficio di Nicosia in quanto Radicale e assistente parlamentare. Nicosia sarebbe stato da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, trasferendo all’esterno messaggi e anche ordini. Poi il 18 settembre scorso la Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha proposto a carico di Nicosia l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale per 4 anni al termine dello sconto pena. Nel frattempo Nicosia si è laureato in carcere, però, per ragioni di sicurezza, non discuterà la sua tesi di laurea. Lui è detenuto a Vicenza. A novembre ha presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza di Verona per potere discutere la sua tesi di laurea in Scienze dell’amministrazione e dell’organizzazione il prossimo 25 gennaio all’Università “La Sapienza” a Roma. Il giudice Vincenzo Semeraro ha risposto ok, ritenendo che l’esame di laurea può rientrare nella nozione di evento di eccezionale gravità. Si è però opposto il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che ha preteso che si revocasse il permesso “perché – ha motivato – ricorrente il rischio di non assicurare un idoneo servizio di vigilanza anche a fronte della pericolosità di Nicosia”. Dopo la revoca il saccense si è rivolto al Tribunale di Sorveglianza di Venezia che, lo scorso 11 dicembre, ha rigettato il ricorso. A sollevare il caso è stato il senatore e capogruppo di Forza Italia nella commissione Giustizia, che commenta: “La decisione della magistratura di sorveglianza si pone in contrasto con i principi costituzionali del fine rieducativo della pena e della sua umanità. L’amministrazione penitenziaria ha quindi il dovere di agevolare il diritto allo studio dei detenuti, e non di ostacolarlo”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)