“Gli eventi disastrosi che hanno colpito la fascia ionica siciliana ed in particolare la città di Catania, da un lato sono il frutto della spiccata antropizzazione e cementificazione dell’area pedemontana sud orientale etnea, che ha ridotto l’infiltrazione delle acque meteoriche nel sottosuolo, dall’altro sono la conseguenza della mancata realizzazione di adeguate opere di regimazione e smaltimento delle acque bianche”. È il commento di Fabio Tortorici, Consigliere del Consiglio Nazionale dei Geologi all’indomani del nubifragio che ha flagellato Catania e l’intera provincia provocando la morte di un uomo che denuncia: “il capoluogo etneo ancora si allaga, essendo sprovvisto di un ‘canale di gronda’, pronto solo sulla carta. “La mano dell’uomo – prosegue – ha spesso avuto un ruolo predominante su alcune scelte errate dello sviluppo urbanistico. Una parte meridionale della città si è sviluppata sul corso del fiume Amenano, una naturale linea di impluvio che è stata tombata e su cui sono state realizzate abitazioni. Questo corso d’acqua alimentava il lago di Nicito, in parte ricoperto dalla colata lavica che raggiunse Catania nel 1669 ed in parte obliterato dalla antropizzazione con la costruzione di palazzi. Non è un caso se le aree in cui scorreva l’Amenano (Pescheria, piazza Alcalà, Piazza S. Francesco, villa Pacini, ecc.) oggi sono state invase dal ruscellamento delle acque che si sono riappropriate del loro originario percorso” spiega Tortorici.
L’area del centro storico di Catania è stata invasa da una quantità impressionante d’acqua sotto l’azione di un potente uragano mediterraneo, previsto dai modelli matematici predisposti dai meteorologi, che ha scaricato sulla città di Catania oltre 200 mm di pioggia in 24 ore e nell’hinterland (Stazione SIAS di Linguaglossa) sono stati superati i 600 mm di pioggia in 72 ore toccando punte di intensità pari a 400 mm in 20 ore. “Gli eventi estremi nell’area mediterranea si stanno facendo sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico con la temperatura media dell’area in continua risalita e la circolazione meteorologica in evoluzione” dichiara Filippo Cappotto, Vice Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi. “Gli avvisi della protezione Civile ci sono stati e allerte rosse sono state diramate, ma non è bastato – continua -. Questi eventi possono concentrarsi puntualmente in una determinata area e la loro evoluzione non è facile da prevedere con tempi di risposta adeguati del sistema, ma dobbiamo conoscere i nodi critici del nostro territorio e i Piani di Emergenza. È fondamentale che tutti i comuni si dotino di piani di Protezione Civile adeguati che definiscano con chiarezza gli scenari e i modelli di intervento e che vengano attivati con decisione e giusta consapevolezza già in fase di pre-emergenza.
Molto si sta facendo per la difesa del suolo, con ingenti interventi economici che denotano una maggiore attenzione nei confronti del territorio, ma è necessario pensare a strategie di gestione territoriale non più legata solo ed esclusivamente ad opere strutturali, che in alcuni casi possono rivelarsi peggiorative del problema, ma a misure non strutturali associate al monitoraggio esperto e continuo del territorio. Questa catastrofe infatti – prosegue Cappotto – mette in luce, da un lato, la fragilità di un contesto territoriale vulcanico attivo, complesso, dove il reticolo idrografico superficiale è stato più volte obliterato e modificato dalle colate laviche, e dall’altro come il sistema di difesa del suolo debba seguire nuove politiche ambientali volte alla rinaturalizzazione del territorio, sfruttando sempre più competenze di professionisti geologi, formati per la realizzazione di quella ‘progettazione geologica’ che deve essere avulsa dalla cementificazione ricorrente, molto spesso rivelatasi non risolutiva, ma addirittura causa dello stesso fenomeno” conclude il vice presidente Cappotto.