Oltre 600 anni di carcere a carico di 91 dei 101 imputati nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “mafia dei Nebrodi”. Il commento di Giuseppe Antoci.
Il Tribunale di Patti, in provincia di Messina, dopo 7 giorni di camera di consiglio, ha emesso la sentenza di primo grado al maxi processo sulla cosiddetta “mafia dei Nebrodi”, a carico di 101 imputati: 91 condannati e 10 assolti, per 6 secoli di carcere a fronte dei oltre mille anni proposti dalla Procura in requisitoria. Sequestrati beni per circa 4 milioni di euro e 151 imprese. L’inchiesta ha ricostruito la pianta organica dei clan messinesi, e ha sollevato il sipario su truffe milionarie commesse dalla mafia a danno dell’Unione Europea. Ecco perché, come sottolineato dai giudici, “la mafia dei pascoli” si sarebbe evoluta in “mafia imprenditoriale”. Le indagini hanno interessato in particolare le famiglie mafiose dei Nebrodi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, in rapporti con Cosa Nostra palermitana e catanese. Tra i reati contestati vi sono anche minacce, violenze, taglieggiamenti per accaparrarsi terreni agricoli e ottenere così i contributi dall’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, letteralmente sbancata. Poi i fiumi di denaro sarebbero stati riciclati tramite professionisti complici dopo essere a volte transitati anche su conti esteri. Tra i colletti bianchi a fianco dei mafiosi vi sarebbe stato anche un notaio e alcuni funzionari dei Cca, i Centri commerciali agricoli, che istruiscono le pratiche per l’accesso ai contributi europei. Parti civili sono la stessa Agea, l’assessorato regionale a Territorio e Ambiente, le associazioni Addiopizzo e Sos imprese, il Parco dei Nebrodi, il centro studi Pio Lo Torre e il Comune di Tortorici. Alla lettura della sentenza, che si è protratta per circa un’ora, è stato presente anche Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, già bersaglio di un attentato, e che ha denunciato gli interessi dei clan messinesi sui fondi europei. E ha commentato: “E’ un momento importante. Abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia. Questo processo ha dato un segnale di libertà, di dignità. Sono più di seicento anni di carcere, queste condanne mi addolorano perché se si riflette non è una vittoria quando le persone vanno in carcere, forse la società ha bisogno di cambiare culturalmente. La lotta alla mafia non si può solamente fare con la repressione e con le condanne, ma ogni giorno e la possono fare tutti. Questa esperienza dimostra che da un piccolo territorio nasce un Protocollo di legalità che è firmato da tutti i Prefetti della Sicilia, che diventa legge dello Stato nel 2017, e che la Commissione europea considera tra gli strumenti più importanti di lotta alla mafia sui fondi europei per l’agricoltura. Se questo è stato fatto con dignità e onestà con piccoli passi da persone che hanno ritenuto di poter fare il loro dovere, penso che il segnale che passi è che tutti lo possono fare perché se ognuno fa il proprio dovere avremo sempre meno processi”.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)