Padre Puglisi 30 anni dopo

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Ricorre oggi il 30esimo anniversario dell’omicidio a Brancaccio di don Pino Puglisi. Il ricordo e le riflessioni dell’ex procuratore e presidente del Senato, Pietro Grasso.

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Pietro Grasso

Oggi, venerdì 15 settembre 2023, ricorre il 30esimo anniversario dell’omicidio di don Pino Puglisi, parroco di Brancaccio a Palermo. L’ex procuratore di Palermo e nazionale antimafia, poi presidente del Senato, Pietro Grasso, è intervenuto nel merito. In sintesi ecco i suoi ricordi e le sue riflessioni sul presente e sul futuro: “Puglisi è ucciso per diversi motivi. Un esempio: insieme all’associazione intercondominiale di via Hazon avrebbe voluto impedire che i boss di Brancaccio, i Graviano, partecipassero all’organizzazione della festa del patrono del quartiere, anche perché sapeva che i mafiosi utilizzavano quella scusa per estorcere denaro. Come segnale intimidatorio furono incendiate contemporaneamente le porte di casa dei tre dirigenti dell’associazione. A quel punto Puglisi, durante le sue omelie, cominciò a indicare pubblicamente i Graviano come autori di questi incendi. Gaspare Spatuzza, killer dei Graviano, ebbe addirittura l’incarico di invitare una zia di Graviano a non partecipare più alle funzioni religiose di Padre Puglisi. Poi don Pino toglieva dalle strade di Brancaccio i ragazzi che erano sfruttati dalla mafia come bacino di reclutamento di manovalanza. Al centro Padre Nostro si riunivano tanti giovani che altrimenti sarebbero finiti nelle mani delle cosche. Quel centro fu talmente frequentato che a un certo punto sollevò perfino dei sospetti. Era un periodo di guerra tra Stato e mafia, e i boss temevano che lì dentro potessero essere stati infiltrati degli uomini delle forze di polizia come punto di osservazione sul quartiere e per catturare i latitanti. Padre Puglisi ha colpito così tanto le coscienze che dopo la sua morte ha provocato una reazione di coscienza persino nei suoi due assassini, Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli, che sono diventati in tempi diversi importantissimi collaboratori di giustizia.

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Gaspare Spatuzza

Spatuzza si pentì a Pasqua del 2008, quando gli fu distribuito un santino con una preghiera e l’immagine di padre Puglisi: mi fece chiamare chiedendo di vuotare il sacco. Spatuzza fu nel commando che uccise Puglisi. E a lui che Puglisi disse: ‘me l’aspettavo’. Spatuzza racconta che inizialmente avevano tentato di farlo fuori investendolo con una macchina.
Volevano sembrasse un incidente, ma non ci riuscirono. Quindi optarono per la simulazione di una rapina. Ecco perché Spatuzza gli sfilò il borsello, e poi Salvatore Grigoli gli sparò alla nuca. E lo fece con una 7,65, non un’arma da killer di mafia. Si tentò in questo modo di non attribuire direttamente a Cosa Nostra il delitto. Tutti capirono subito. Ci fu una sorta di sollevazione del quartiere. Puglisi era molto amato. I Graviano sapevano che l’assassinio era attribuito a loro. E Spatuzza racconta che gli commissionarono di uccidere un ladro di auto (che tra l’altro aveva rubato la macchina a uno dei Graviano), di buttare il cadavere di fronte a casa Puglisi, e dargli fuoco.
L’idea era di far finta di avere ‘giustiziato’ il responsabile della morte del sacerdote.

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Filippo e Giuseppe Graviano

Spatuzza uccise davvero quel ladro, ma non riuscì mai a lasciare il cadavere di fronte all’abitazione di Puglisi, per il continuo pellegrinaggio di fedeli che si recava lì per un saluto. Così lo lasciò in una macchina in una via adiacente, ma nessun collegò mai la presenza di quel morto al delitto Puglisi, finché non rivelò tutto Spatuzza stesso”. E poi Pietro Grasso conclude in prospettiva: “La mafia oggi non è più debole di allora. Ha solo cambiato strategia, e lo ha fatto perché si è resa contro della reazione dello Stato. La strategia inaugurata da Provenzano è perciò quella della sommersione. Niente più allarme sociale, niente più bombe. Così la pressione delle forze dell’ordine sul territorio diminuisce e i quartieri sono lasciati tranquilli. Oggi è una mafia della droga, degli affari, degli appalti e della finanza, contro cui io stesso ho proposto dei cambiamenti, ma nel mondo della politica ci sono molte remore. La chiave è la trasparenza, in qualsiasi operazione finanziaria, collegando le banche dati. Il peso delle mafie sul sistema economico è infatti ancora enorme. I capitali di origine illecita inquinano e danneggiano l’economia. Mettono in crisi il sistema nel suo complesso. Il problema è che se ti rubano il portafoglio te ne accorgi subito, se invece utilizzano strumenti finanziari per riciclare i soldi delle mafie non vedi nulla. Eppure è con i falsi in bilancio, con le bancarotte, con il riciclaggio, l’evasione fiscale e il sommerso che sono sottratte più risorse alla collettività”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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