Sarà la Corte d’Assise di Agrigento, presieduta da Wilma Mazzara, a valutare la tesi della Procura: “A Raffadali Gaetano Rampello ha ucciso il figlio con premeditazione ma ha delle attenuanti”.
Ad Agrigento al palazzo di giustizia il pubblico ministero Elenia Manno ha concluso la requisitoria. Poi si è rivolta alla Corte di Assise di Agrigento, presieduta da Wilma Mazzara: “Condannate Gaetano Rampello a 24 anni di carcere”. Lui, Rampello, 58 anni, di Raffadali, poliziotto in servizio al Reparto Mobile di Catania, è stato arrestato il primo febbraio del 2022 dopo avere confessato l’omicidio, ritenuto premeditato, del figlio Vincenzo Gabriele, di 24 anni, sofferente di patologie psichiche. Ed Elenia Manno ha rilanciato la tesi della premeditazione. E ha spiegato: “Non è stato un omicidio d’impeto ma ha premeditato il gesto andando, probabilmente, a prendere la pistola in caserma prima dell’appuntamento. Le telecamere sul posto smentiscono che vi sia stata un’aggressione da parte del figlio. Tuttavia gli si riconoscono delle attenuanti perché ha subito anni di violenze e sopraffazioni ed è stato l’unico che ha provato ad aiutarlo contrariamente alla madre del ragazzo che è venuta qua a testimoniare sminuendo e negando i problemi psichiatrici”. Lui, Rampello, sin dal primo interrogatorio si è difeso così: “Gli davo 600 euro al mese, ma non gli bastavano mai. Mi picchiava e mi minacciava sempre per i soldi. Sono stato costretto a denunciarlo per estorsioni e maltrattamenti. Mio figlio mi ha telefonato chiedendomi 30 euro. Quando glieli ho dati ha iniziato a insultarmi e minacciarmi dicendomi che ne voleva 50. Mi ha aggredito e sfilato il portafogli prendendo altri 15 euro, di più non avevo in tasca. A quel punto ho avuto un corto circuito e gli ho sparato non so quanti colpi”. Poi lui si è allontanato, si è seduto su una panchina e ha telefonato ai Carabinieri, ai quali si è consegnato spontaneamente. Il sindaco di Raffadali, Silvio Cuffaro, dopo il delitto in piazza Progresso ha commentato: “Vincenzo Gabriele ha avuto un’infanzia difficile per la separazione dei genitori. Per tanti anni, da piccolo, è stato ricoverato in una comunità per bambini con disagio sociale. Il padre vive a Catania ma tornava ogni mese in paese per incontrarlo e dargli quanto necessario per il sostentamento economico. La madre vive a Sciacca. Lui viveva da solo, ma c’era uno zio che si prendeva cura di lui. Vincenzo Gabriele era introverso e molto diffidente. Il Comune ha cercato di coinvolgerlo, per dargli anche delle motivazioni in lavoretti per conto del Municipio, ma non c’è stato verso. Era un ragazzo molto ordinato e pulito. Quando faceva qualche sbavatura, qualcuno bonariamente lo riprendeva. Nessuno mai dei raffadalesi, consapevoli delle sue difficoltà, lo ha mai accusato di nulla”. I familiari del ragazzo, la nonna Francesca, lo zio Giuseppe e la madre Maria hanno affermato: “Confidiamo nella giustizia. Restiamo a disposizione per fornire ogni contributo utile affinché Gabriele possa avere giustizia. Nessuna ipotetica giustificazione potrà mai legittimare un padre che priva il figlio della propria vita”.