La Mendola: «l’introduzione del fascicolo-fabbricato garantirebbe un monitoraggio costante sulla resistenza al sisma e sulla sicurezza del nostro patrimonio edilizio esistente»
Menfi, Montevago e Santa Margherita Belice. Sono questi i comuni dell’Agrigentino ricadenti in zona ad alto rischio sismico (zona 1). Lo sciame sismico degli ultimi giorni conferma di fatto tale classificazione che fa riferimento a una serie di provvedimenti legislativi, l’ultimo dei quali è il decreto del dirigente generale del dipartimento della Protezione Civile n°64/S03 dello scorso 11 marzo 2022. Secondo tale decreto, sono inoltre a rischio medio-alto i comuni della zona occidentale della provincia, da Sciacca sino ad Agrigento e quelli dell’entroterra del versante dei Monti Sicani (zona 2); i rimanenti comuni agrigentini ricadono invece in zona a rischio medio-basso (zona 3), con eccezione di Lampedusa, che ricade in zona a bassa sismicità (zona 4)».
«A prescindere dalla classificazione sismica del territorio in cui ricadono – afferma il presidente dell’Ordine degli architetti, Rino La Mendola – le costruzioni realizzate nel corso degli ultimi venti anni sono più sicure dal punto di vista antisismico. Tali costruzioni, infatti, sono state eseguite nel rispetto delle nuove norme tecniche, varate dal 2005 al 2018, che hanno introdotto, e progressivamente perfezionato, nuovi metodi di calcolo strutturale che consentono di stabilire una gerarchia delle resistenze delle costruzioni grazie alla quale, in caso di sisma, può essere preordinata la sequenza delle deformazioni di una costruzione, in modo che le travi cedano per flessione e si plasticizzino prima dei pilastri, secondo una sequenza prestabilita, così da consentire al sistema di dissipare l’energia sismica in modo più efficace, preservando l’integrità dei pilastri ed evitando dunque l’immediato collasso dell’intera struttura, consentendone l’evacuazione prima di un eventuale crollo. Inoltre – continua La Mendola – le costruzioni realizzate negli ultimi vent’anni, grazie alle regole introdotte dalle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC del 2005, del 2008 e del 2018), sono dotate di una vita nominale, intesa come il numero di anni nel quale è previsto che l’opera, purché soggetta alla necessaria manutenzione, mantenga specifici livelli prestazionali. A tale scopo, ai progetti strutturali redatti dal 2005 in poi, viene allegato un manuale di manutenzione, che individua gli interventi che il proprietario dovrà eseguire nel tempo per mantenere l’efficienza strutturale della costruzione durante la sua vita nominale. Per garantire un’adeguata resistenza al sisma dell’intero patrimonio edilizio esistente – conclude il Presidente degli architetti – il legislatore dovrebbe estendere il principio della manutenzione programmata anche alle costruzioni realizzate prima degli ultimi vent’anni, che costituiscono gran parte del patrimonio edilizio esistente, introducendo l’obbligo di dotare anche queste costruzioni di un manuale di manutenzione: una sorta di fascicolo-fabbricato, gestito da un tecnico abilitato, su cui annotare gli esiti delle verifiche sismiche e delle prove sui materiali eseguite con una cadenza programmata. Ciò garantirebbe un monitoraggio costante sulla resistenza al sisma e sulla sicurezza del nostro patrimonio edilizio esistente, scongiurando quei crolli improvvisi, dovuti a fenomeni sismici o alla stessa vetustà delle strutture, che minacciano costantemente la pubblica incolumità, soprattutto all’interno dei nostri centri storici».