Il suicidio del simbolo della lotta al racket di Gela, l’imprenditore Rocco Greco. Lo sfogo alla moglie: “Ormai il problema sono io, se vado via i miei figli sono a posto”.
L’imprenditore Rocco Greco, 57 anni, di Gela, protagonista storico della pericolosissima lotta al racket nella provincia di Caltanissetta, è morto. Si è sparato un colpo di pistola alla tempia. I mafiosi che lui ha incastrato lo hanno denunciato, e lui, Greco, è stato processato e assolto, ma nel frattempo lo Stato gli ha negato il certificato di verginità. Sì, il ministero dell’Interno non ha ammesso l’impresa di Rocco Greco nella “White List”, l’elenco bianco delle imprese vergini e immacolate. Si tratta dell’interdittiva che impedisce la partecipazione alle gare d’appalto. Dopo il suicidio, il figlio di Rocco Greco, Francesco, racconta: “Mio padre negli ultimi tempi ripeteva a mia madre: ‘Denunciare i boss del pizzo mi è costato caro’. Era finito dentro una storia paradossale. I mafiosi che aveva fatto condannare lo avevano denunciato. Ma, poi, ovviamente, era arrivata l’assoluzione. Il giudice aveva ribadito che Rocco Greco era stato vittima della mafia, non socio in affari dei boss. Ma non è bastata una sentenza di assoluzione. Nell’ottobre scorso, il ministero dell’Interno ha negato all’impresa di mio padre, la ‘Cosiam srl’, l’iscrizione nella ‘White List’ per i lavori di ricostruzione dopo il terremoto in centro Italia”. E nelle motivazioni del provvedimento, la “Struttura di missione antimafia sisma” ha scritto: “Nel corso degli anni Rocco Greco ha avuto atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese”. E l’avvocato Alfredo Galasso, difensore altrettanto storico di tante parte civili, commenta: “Ma come si fa a dimenticare che aveva denunciato? Proprio con la denuncia aveva scelto di non essere più supino a quel sistema che vigeva a Gela”. Nel 2007 Rocco Greco denunciò boss e affiliati alla Stidda ed a Cosa Nostra, e convinse anche altri sette imprenditori a seguire il suo esempio. E il figlio Francesco ricorda: “Sì, era la primavera di Gela. Mio padre ne andava orgoglioso. Ma non era stato affatto semplice. All’epoca, però, si respirava un’aria nuova in questa parte di Sicilia, anche grazie all’allora sindaco Rosario Crocetta”. Le denunce del 2007 alimentarono la maxi inchiesta antimafia cosiddetta “Munda mundis”, poi gli arresti, e poi le condanne per 134 anni complessivi di carcere, confermati in Cassazione. E, nel corso dei tre gradi di giudizio, gli imputati hanno replicato alle accuse e hanno controbattuto così: “Ma quale pizzo, gli imprenditori pagavano il nostro sostegno. E spartivamo gli utili”. Ed ecco perché Rocco Greco non ha impugnato più il coltello dalla parte del manico, fino a quando è stato assolto. Il figlio Francesco sottolinea: “Non dobbiamo dimenticare cosa era Gela all’epoca. Più di cento morti in un anno. E veniva ucciso anche chi non pagava il pizzo. Adesso, dopo l’ultima interdittiva antimafia sono arrivate le revoche di tutte le commesse pubbliche e private per l’impresa di mio padre, che si occupa di lavori edili. Sono stati licenziati 50 operai”. Rocco Greco ha presentato ricorso contro l’interdittiva, ma il Tar non ha concesso la sospensiva in attesa del giudizio di merito. Al mattino si è svegliato alle ore 5:30, le parole alla moglie: “Vado in azienda, per guardare alcune carte”. Tre ore dopo, alle 8:30, giungono in ufficio il figlio Francesco e gli altri dipendenti. Rocco Greco è assente. E il figlio racconta: “Mio padre non era in ufficio. Mi sono insospettito. Anche perché aveva lasciato la fede e l’orologio a casa. Abbiamo iniziato a cercarlo. Era dentro un container, poco distante, in una pozza di sangue. Non ha lasciato neanche un biglietto. Però qualche giorno fa si era sfogato così con mia madre: “Ormai il problema sono io. Se vado via, i miei figli sono a posto”.
Angolo Ruoppolo (Teleacras)