Uno degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla sparatoria innanzi alla concessionaria Zambuto ad Agrigento ha indicato dove è stata nascosta la pistola.
Svolta nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Agrigento sulla sparatoria nel pomeriggio di venerdì 23 febbraio scorso ad Agrigento al Villaggio Mosè nel parcheggio antistante l’auto-concessionaria di Lillo Zambuto, “LZ AutoXpassione”. Uno dei tre indagati di Palma di Montechiaro, Calogero Zarbo, 41 anni, ha indicato il luogo dove è stata nascosta la pistola. L’arma, una semiautomatica calibro 9 con matricola abrasa, è stata trovata e sequestrata dalla Squadra mobile di Agrigento. Il prossimo 26 novembre sarà sottoposta ad accertamenti investigativi irripetibili nei laboratori specializzati della Polizia scientifica di Catania. Nel frattempo il difensore di Calogero Zarbo, l’avvocato Antonio Impellizzeri, ha depositato istanza di concessione degli arresti domiciliari. Lo scorso 18 agosto il pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Gaspare Bentivegna, ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai tre indagati di Palma di Montechiaro. Il dottor Bentivegna contesta ad Angelo Di Falco, 40 anni, fratello della vittima Roberto, 38 anni, Domenico Avanzato, 37 anni, e allo stesso Calogero Zarbo l’ omicidio per errore. Zambuto, reagendo d’istinto, ha deviato la canna, e l’esplosione ha colpito Roberto Di Falco. Angelo Di Falco avrebbe raccolto la pistola e avrebbe tentato di sparare contro uno dei due figli di Zambuto, ma l’arma si è inceppata.
Ecco perché si contestano anche le ipotesi di reato del tentato omicidio di Zambuto e il porto abusivo d’arma da fuoco, ancora non trovata. Una valutazione diversa di quanto accaduto è stata sostenuta dal Tribunale del Riesame, presieduto dal giudice Antonia Pappalardo, che lo scorso 15 marzo ha annullato l’ordinanza del collega di Agrigento, Giuseppe Miceli, per la contestazione del reato di omicidio per errore ai tre palmesi arrestati.
Secondo la dottoressa Pappalardo la tesi del giudice Miceli è corretta ma non si è trattato di ‘omicidio per errore’ ma di un omicidio per legittima difesa. Il concessionario di auto, Zambuto, quando ha visto spuntare la pistola e l’ha spostata deviando il colpo sull’addome di Roberto Di Falco, si è solo difeso da un tentativo di omicidio ai suoi danni. La sua condotta, quindi, deve essere scriminata, mentre ai tre indagati è da contestare il tentato omicidio ai suoi danni e non l’omicidio per errore di un componente del loro commando, ossia Roberto Di Falco. Contro tale tesi la Procura agrigentina ha presentato ricorso in Cassazione, e la Suprema Corte ha condiviso la ricostruzione di quanto accaduto da parte della Procura di via Mazzini: omicidio per errore, e ha rinviato gli atti al Tribunale del Riesame per una seconda valutazione.
E lo scorso 25 settembre il Riesame ha sentenziato che l’omicidio di Roberto Di Falco non è imputabile ad Angelo Di Falco, Calogero Zarbo e Domenico Avanzato, quale vittima diversa rispetto a quella designata, ossia Calogero Zambuto. E ha annullato la custodia cautelare in carcere nei confronti di tutti gli indagati, in accoglimento della tesi prospettata dal collegio difensivo composto dagli avvocati Santo Lucia, Giovanni Castronovo, Antonino Ragusa, Antonio Impellizzeri e Giuseppe Barba. Al momento Di Falco, Zarbo e Avanzato sono ancora detenuti poiché indiziati in concorso di tentato omicidio e porto e detenzione di arma da fuoco.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)