All’indomani della strage di via D’Amelio “mi chiamò il genero del Capo della Polizia di allora, Vincenzo Parisi, e mi disse che mi sarei dovuto presentare il Procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra. Io non lo conoscevo e non sapevo neppure come si chiamasse. E il genero di Parisi, il dottor Sergio Costa, mi disse che se volevo mi avrebbe accompagnato lui. Quindi la sera del 20 luglio, intorno alle 20, andai al Palazzo di giustizia ed ebbi questo incontro con il dottor Tinebra”.
Lo ha detto Bruno Contrada, l’ex dirigente della Squadra mobile, audito dalla Commissione regionale antimafia all’Ars che da settimane si occupa del presunto depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
Il giorno dopo la strage di via D’Amelio, l’allora Procuratore di Caltanissetta, Gianni Tinebra, che coordinava l’inchiesta, chiamò l’allora dirigente dei servizi segreti Bruno Contrada, per chiedergli un aiuto. Lo ha raccontato lo stesso Contrada durante l’audizione davanti alla Commissione regionale antimafia all’Ars. “All’incontro eravamo soli, io e Tinebra, che conobbi in quella occasione”, racconta. “Mi disse: ‘Mi trovo in grosse difficoltà, perché io di mafia palermitana sono all’oscuro e non niente. In questi pochi giorni che sono stato a Caltanissetta mi sono reso conto che si sta organizzando la Dia, ma sono persone che non credo abbiano competenza ed esperienza di mafia’ e mi chiese se ero disposto a dargli una mano”, ha detto ancora Contrada.
“Io gli dissi, sotto l’impulso dei miei sentimenti per la morte degli agenti ‘Signor Procuratore, io sono a disposizione ma io non posso svolgere indagini perché non sono più funzionario di polizia giudiziario, sono nei servizi”, racconta ancora Contrada rispondendo alle domande del Presidente Claudio Fava. “E gli dissi che non avevo più alcuna competenza sulla Sicilia ma come Sisde avevo competenza su Roma e il Lazio – dice ancora – e che un mio eventuale intervento a livello informativo doveva essere svolto in piena intesa con gli organi si polizia giudiziaria. Non volevo che il mio intervento potesse intralciare le indagini della Pg, ecco perché poi ebbi contatti con il capo della Mobile Arnaldo La Barbera, lo invitai a venire nei locali del Sisde e telefonai al generale Antonio Subranni, che era il comandante del Ros che conoscevo benissimo. Eravamo anche amici, e mi disse che della strage si stava occupando il maggiore Obinu del Ros e lo invitai di venire al centro Sisde per riferirgli il mio contatto con il Procuratore della Repubblica”. “Io dissi al Procuratore, tra le varie obiezioni che avevo fatto, avrei dovuto avere il placet dei miei superiori diretti, che erano tre”.
“Rimasi particolarmente colpito dalla morte di Paolo Borsellino. Non ho mai detto di essere suo amico, ma ho detto che tra me e lui c’erano ottimi rapporti professionali. Lui da giudice istruttore e io da funzionario di polizia giudiziaria”. Così l’ex dirigente della squadra mobile di Palermo Bruno Contrada durante l’audizione davanti alla commissione regionale Antimafia dell’Ars sui depistaggi nella strage di via d’Amelio.
“Durante un incontro di lavoro, qualche giorno dopo la strage di Via D’Amelio, parlando con il Procuratore di Caltanissetta di allora Giovanni Tinebra, lanciai l’idea di un’attività informativa del Sisde sulle famiglie di mafia, come i Madonia, sulla strage di Via d’Amelio. Non me la sentivo di dirgli in quel momento ‘Sono affari che non mi riguardano’. E ho detto che avrei informato sia il maggiore Obinu del Ros che il capo della Mobile Arnaldo La Barbera”. A dirlo, durante l’audizione davanti alla Commissione antimafia all’Ars, l’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada
“Con Arnaldo La Barbera ci fu un solo incontro. E da quell’incontro capii che questo intervento del Sisde in un settore che lui riteneva di sua esclusiva competenza non gli andasse troppo per il verso giusto. E’ stata una mia impressione”. Lo ha detto Bruno Contrada durante la sua audizione davanti alla Commissione regionale antimafia all’Ars sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
(Adnkronos)