Al processo d’Appello sulla presunta “trattativa” sono iniziate le arringhe difensive. L’avvocato Cianferoni: “Bagarella è da assolvere. E il processo va fermato”.
Lo scorso 7 giugno, al processo di secondo grado in corso innanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia all’epoca delle stragi, la Procura Generale, a conclusione della requisitoria, ha invocato la conferma delle condanne inflitte in primo grado il 20 aprile del 2018. E dunque, tra gli altri, 28 anni di carcere a carico del boss Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, e unico corleonese storico in vita dopo la morte di Provenzano e Riina. Ebbene, adesso sono iniziate le arringhe difensive.
E l’avvocato Luca Cianferoni è intervenuto a difesa di Bagarella, e, non usando mezzi termini o allusioni, tra l’altro ha affermato: “Un tempo il ‘parafulmine’ era Totò Riina. Ora che è morto, ad essere usato è Leoluca Bagarella, che è da assolvere ‘perché il fatto non sussiste’. Bagarella non ha avuto alcun ruolo all’interno di quel dialogo tra lo Stato e la mafia. L’unico a chiamarlo in ballo è Giovanni Brusca dopo aver letto un articolo su l’Espresso, ma sulla base di mere valutazioni personali. Invece, lui, Bagarella, non aveva alcun ruolo. Se vediamo le sentenze era un soldato semplice, e taluni lo definiscono come il ‘cane da guardia di Riina’. Nulla più”. E poi l’avvocato Cianferoni ha aggiunto: “Il processo sulla presunta ‘trattativa’ negli anni ha assunto una valenza politica eccessiva. Vi è un reato che non si capisce. E’ un reato di mafia? Un reato politico? Di mafia e politica? Di mafia e appalti? La valenza giuridica per i giudici popolari è difficile da cogliere. Io capisco che Leoluca Bagarella può sembrare strano che sia innocente, ma il diritto è un’altra cosa. Qui o il ‘fatto non sussiste’ o c’è il ‘ne bis in idem’ perché Bagarella è stato già condannato per Capaci e le stragi in continente che vanno fino al marzo 1994. Che Bagarella dopo il 1994 porta avanti una trattativa con i politici è affermare qualcosa di assurdo, che è lontano dalla logica in termini di ragionevolezza”. E poi, ancora, Luca Cianferoni ha spiegato: “Riina all’inizio di questo processo non aveva ben chiara l’accusa, ma poi fu preso dalla stizza quando si disse che si mise d’accordo con gli stessi Carabinieri che lo avevano arrestato. Io sono testimone vivo della incompatibilità tra Salvatore Riina e Leoluca Bagarella a ogni ipotesi di accordo con i Carabinieri. La mafia dei corleonesi non aveva questo tipo di ‘confidenzialismo”. E poi, l’avvocato Cianferoni ha concluso la sua arringa così: “Chiedo alla Corte di mettere un fermo alla deriva, ovvero l’uso del processo in termini produttivi di sé stesso. Questo processo va fermato ed è una minaccia. Va fermato perché va detto a certi uffici di Procura che devono smetterla di autoalimentarsi. Perché da Riina si passerà ad altri, e poi ancora altri. Perché si vuole tenere il Paese in scacco. E ogni tanto ci sono questi servizi segreti che tirano fuori qualcosa. Ma Riina non aveva rapporti con i servizi”.