Venti anni dopo il concorso, funzionaria regionale inquadrata come dirigente

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Nel 2000, la dott.ssa V. C., agrigentina, partecipava al concorso pubblico bandito dalla Regione siciliana per la copertura di n. 70 posti di Dirigente Tecnico Archeologo, il cui bando prevedeva, per i vincitori, il trattamento economico corrispondente all’ottavo livello retributivo del Decreto Presidenziale n. 11/1995.
Nel 2004, la sig.ra V. C., risultata vincitrice, veniva nominata quale Funzionario di categoria D, con applicazione del trattamento economico corrispondente, però, al settimo livello retributivo, in quanto, a dire dell’Amministrazione, i vincitori del suddetto concorso non avrebbero potuto essere inquadrati nella terza fascia dirigenziale prevista della legge regionale 10/2000, perché entrata in vigore successivamente all’indizione della procedura concorsuale.
In ragione di ciò, nel 2005, la sig.ra V. C., con ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana, impugnava il provvedimento di nomina, chiedendone l’annullamento, nella parte in cui la Regione non aveva inquadrato la sig.ra V. C. nell’area dei dirigenti di terza fascia.
Sul detto ricorso, il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con parere reso nel dicembre del 2007 si esprimeva favorevolmente, ritenendo che il corretto inquadramento della sig.ra V. C. “non poteva che essere proprio quello di dirigente di terza fascia”.
Il parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa – che, in Sicilia, esercita le funzioni svolte dal Consiglio di Stato – avrebbe dovuto vincolare, così come accade per i ricorsi straordinari presentati (fuori dal territorio siciliano) al Presidente della Repubblica, la decisione del Presidente della regione sul ricorso della sig.ra V. C.
Cionondimeno, nel novembre del 2011, il Presidente della Regione respingeva il ricorso straordinario presentato dalla sig.ra V. C., richiamando una norma (l’articolo 9 del D. Lgs., n. 373/2003) che, a suo dire, lo autorizzava a decidere in maniera difforme al parere del CGA.
Ed allora, la sig.ra V. C., nel 2012, con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino, presentava ricorso al Tar Palermo, al fine di ottenere l’annullamento del Decreto Presidenziale perché adottato, illegittimamente, in contrasto con il parere reso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa.
Nel Marzo 2019, il Tar Palermo riteneva di non accogliere il suddetto ricorso.
Ed allora, la sig.ra V. C., sempre con il patrocinio dell’Avvocato Girolamo Rubino e Calogero Marino, proponeva ricorso in appello davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa, chiedendo la riforma della pronuncia di primo grado.
In questa sede, la difesa della sig.ra V. C. affermava l’avvenuta abrogazione della norma che autorizza il Presidente a decidere in maniera difforme al parere del CGA, evidenziando che la detta legge si poneva comunque in contrasto con la Costituzione.
Contrariamente, l’applicazione della norma richiamata dal Presidente della Regione Siciliana avrebbe violato il principio di uguaglianza che deve essere garantito tra tutti i cittadini italiani: in questo caso, infatti, solo in Sicilia, un organo politico (Presidente della Regione) avrebbe potuto decidere un ricorso in maniera difforme al parere reso dall’organo giudiziale (in Sicilia, il CGA, in tutta Italia, il Consiglio di Stato).
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa frattanto sospendeva il giudizio e ritenendo rilevante la questione sulla legittimità costituzionale della norma che autorizza il Presidente a superare il parere dell’organo giurisdizionale, ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale.
La sig.ra V.C. si è costituita nel suddetto giudizio di legittimità costituzionale, con il patrocinio degli Avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino ribadendo l’illegittimità costituzionale della norma regionale – che consentiva al Presidente della Regione di discostarsi dal parere reso dal CGA – con riferimento a svariate disposizioni della Costituzione, tra tutte, quelle che riconoscono il principio di uguaglianza tra i cittadini italiani e il diritto di difesa in giudizio.
In esito all’udienza pubblica del 21.02.2023, la Corte costituzionale, condividendo le tesi degli Avvocati Rubino e Marino, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, D. Lgs. n. 373/2003 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana) per contrasto con gli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 24 (diritto di difesa) della Costituzione.
In particolare, la Consulta, ripercorrendo le tappe giurisprudenziali e normative che hanno delineato una pacifica “giurisdizionalizzazione” del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (esperibile da tutti i cittadini italiani, tranne che in Sicilia) e la natura vincolante del parere del Consiglio di Stato, ha stigmatizzato il contestuale mantenimento della possibilità per il Presidente della Regione – e non per il Presidente della Repubblica – di discostarsi dal parere dell’organo consultivo.
Ciò in quanto “non sussistono, infatti, differenze tra i due istituti idonei a giustificare tale disparità di trattamento. Né tale disparità appare in alcun modo riconducibile ai profili di autonomia speciale di cui gode la Regione siciliana”.
A seguito della suddetta sentenza della Consulta, che ha determinato il venir meno della facoltà per il Presidente della Regione di discostarsi dal parere del CGA, l’appello della sig.ra V.C. è stato accolto .
Pertanto per effetto della superiore pronuncia del CGA la dott.ssa dovrà essere inquadrata quale dirigente nei ruoli dell’amministrazione regionale.

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